Leggere il Cielo

Breve e parziale storia del tempo.

Da una cosmogonia atemporale all'universo in espansione

Annibale D'Ercole

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Il tempo degli antichi...
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Dal nucleo dell'atomo all'abisso del tempo
L'evoluzione cosmica e l'inizio del tempo
Epilogo
Letture

Il tempo degli antichi...

Ne Il mito dell'eterno ritorno l'antropologo e storico delle religioni romeno Mircea Eliade ha sostenuto che, nella vita del genere umano, i popoli si ribellano contro la nozione storica di tempo e si sono aggrappati per lo più all'idea del ciclo temporale, nel quale il passato è futuro, non esiste una vera storia, e l'umanità si dispone a rinascere e a rigenerarsi. Si può cercare sollievo al tempo storico compiendo riti religiosi, come la ripetizione di frasi o gesti che ricreano simbolicamente gli eventi originari. Fuori dall'Occidente, Cinesi, Indiani, Buddisti e civiltà mesoamericane, tutti considerano un tempo che si rinnova periodicamente. In Occidente, non c'è dubbio che il mito egiziano di Osiride, simbolo del sole nascente, fatto a pezzi dal fratello Seth e resuscitato per opera di Iside sua sposa, sia ispirato alle inondazioni del Nilo che rivitalizzavano ciclicamente il terreno. In Osiride si identificava il faraone, che si assicurava così l'immortalità.

Anche la Mesopotamia veniva inondata dal Tigri e dall'Eufrate, ma si trattava, in questo caso, di eventi disastrosi ed erratici. Per poter prevedere ed avere un qualche controllo sugli eventi avversi, i Babilonesi rivolsero l'attenzione al cielo. Il moto periodico dei corpi celesti testimoniava infatti di un ordine cosmico rassicurante a cui fare riferimento. Ad ogni evento astronomico venne associata una controparte terrena, dando origine così all'astrologia.

Non è possibile, nell'antica Grecia, isolare un'unica concezione del tempo. La civiltà greca vide nascere i primi filosofi, molti dei quali portatori di una visione personale del tempo. Eraclito, sulla base dei continui mutamenti del mondo circostante, riteneva il tempo essenziale nel regolare il perenne cambiamento derivante dall'antagonismo degli opposti quali freddo e caldo, secco e umido, e cosl via. Parmenide e Platone (427-347 a.C.), al contrario, sottolinearono l'inconsistenza del tempo, un'illusione derivante dal mutevole mondo dell'apparenza contrapposto alla realtà rivelata dalla ragione, fissa e atemporale. Zenone di Elea, un discepolo di Parmenide, architettò diversi paradossi, tra cui quello celeberrimo di Achille e la tartaruga, per evidenziare le contraddizioni a cui si va incontro nell'attribuire realtà al tempo. Per Aristotele (384-322 a.C.) il tempo è identificato dal processo di numerazione degli eventi associato alla nostra percezione del prima e del dopo. Rimane aperto il problema della realtà del tempo nel caso non vi sia un soggetto a percepirlo (su questo tema dell'autoconsapevolezza Aristotele sembra aver anticipato di oltre duemila anni i moderni psicologi).

Anche nella Roma del II e III secolo d.C. coesistono diverse concezioni del tempo derivanti dal fiorire di nuove religioni. Gli Stoici, ad esempio, ritenevano che, una volta che Luna, stelle e pianeti avessero ripreso sulla sfera celeste la stessa posizione relativa iniziale, la storia si sarebbe ripetuta, sarebbero rinati gli stessi uomini, costruite le stesse città, ecc. Ma a prevalere fu infine la concezione ebraico-cristiana di una storia con una direzione, volta ad un fine, la storia della salvezza e del compimento del disegno divino. Questa concezione lineare della storia era destinata a rivoluzionare la percezione del tempo e la visione del mondo in Occidente. Tuttavia tale rivoluzione si sarebbe compiuta pienamente solo dopo molti secoli. Nella vita quotidiana vigeva invece una certa indifferenza verso il concetto di tempo originata essenzialmente dall'incapacità di misurarlo. Infatti i metodi pratici per la misurazione del tempo erano ancora quelli ereditati dagli Egiziani, e non cambiarono fino alla fine del XIII secolo. Gli egiziani calibravano i quadranti delle meridiane con dodici suddivisioni ineguali, in modo da compensare la diversa lunghezza dell'ombra dello gnomone (lasta della meridiana) in periodi diversi della giornata. L'intervallo diurno era dunque suddiviso in dodici ore, ed altre dodici coprivano l'arco della notte. Pertanto la lunghezza delle ore del giorno e della notte differivano tra loro e variavano durante l'anno. I Romani non avevano dimestichezza né interesse verso la misurazione delle ore. La prima meridiana pubblica arrivò a Roma da Catania nel 264 a.C. e segnò per oltre un secolo lora sbagliata, giacché i Romani ignoravano la necessità di correzioni di taratura dipendenti dalla latitudine. Le ore notturne venivano misurate mediante orologi ad acqua, in cui il livello del liquido variava uniformemente per riempimento o svuotamento. Solo in pochi casi, quali, ad esempio, lo scandire dei turni di guardia, questi orologi venivano incontro ad esigenze reali; per il resto essi rappresentavano una curiosità, uno status symbol ad appannaggio dei più ricchi. Contrariamente alle meridiane, gli orologi ad acqua avrebbero potuto permettere agli antichi di misurare ore sempre uguali che scandiscono il passaggio di un tempo uniforme. Ma questo non accadde. Al contrario, gli orologi ad acqua recavano segni di calibrazione distanziati in modo diseguale per simulare il tempo vero delle meridiane. I tempi non erano maturi per astrarre il tempo dalla realtà del passaggio giornaliero del Sole. Questo stato di cose ebbe termine alla fine del 1200, grazie ad un'invenzione destinata a sovvertire profondamente sia la vita quotidiana e sociale, sia la visione del mondo dell'uomo occidentale.



...e quello dei moderni