L'Universo e l'origine della vita

Dinamica e formazione del Sistema solare

Roberto Bedogni

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L'importanza delle orbite nella determinazione di un modello di formazione planetaria
Vincoli teorici ed osservativi alla costruzione di un modello di formazione del Sistema solare
La datazione delle rocce terrestri, lunari e dei meteoriti
L'età del Sistema solare e la durata del processo di formazione
La formazione del protosole
La nube protoplanetaria
Le reazioni termonucleari nel protosole; il ciclo protone-protone
La misura del rapporto deuterio/idrogeno nei pianeti giganti
Il problema del momento angolare
Conclusioni
Letture e internet

Vincoli teorici ed osservativi alla costruzione di un modello di formazione del Sistema solare

Dalla metà del XX secolo le teorie riguardanti la formazione stellare insieme alla determinazione delle età dei vari corpi minori, ad esempio i meteoriti, fornirono nuovi elementi di riflessione per le nuove e più moderne teorie cosmogoniche. Sebbene il problema della formazione planetaria sia solo parzialmente risolto, si è riusciti comunque a costruire un quadro sufficientemente coerente dei vari processi fisici e chimici che sovrintendono ad essa.

L'efficacia dei modelli di formazione del Sistema solare risiede essenzialmente nella loro capacità di rispondere a due domande: ammesso che il Sole ed i pianeti si siano formati assieme, dove e quando ciò è avvenuto? il Sistema solare si è formato da materiale interstellare freddo o da materiale solare riprocessato dalle reazioni termonucleari avvenute nel suo interno?

A queste due possibilità le evidenze osservative permettono di dare una risposta esauriente con un elevato grado di accuratezza. Per far questo è necessario affrontare il problema dell'età delle rocce terrestri, lunari e dei meteoriti ed indagare su come avviene la formazione stellare nella Galassia.

La datazione delle rocce terrestri, lunari e dei meteoriti

Il principio base della datazione, e quindi della stima delle età geologiche, si fonda sulla misura degli elementi radioattivi presenti nelle rocce sottoposte ad esame. Al fine di misurare l'età del Sistema solare, si utilizzano degli "orologi" a lungo termine derivati dal decadimento di alcune specie fisiche trovate nei meteoriti.

Ad esempio consideriamo il caso di due meteoriti (indicati con le lettere a e b), in cui l'abbondanza degli isotopi del piombo era la stessa al momento della formazione del Sistema solare.

Dopo un tempo t la formazione delle specie isotopiche è specificata dalla relazione:

formula 9

che collega le abbondanze isotopiche del 206Pb e dello 238U al tempo t in funzione della costante di decadimento landa 238 dell' 238U.

Se tutti i meteoriti hanno lo stesso rapporto iniziale (206Pb /204Pb) allora hanno la stessa età e , sulla base di questa ipotesi, non è troppo complicato calcolare il valore di t e quindi risalire all'età di formazione del Sistema solare. Per completezza diamo, nella figura 2, le principali reazioni di decadimento radioattivo con i tempi caratteristici corrispondenti.

decadimento Figura 2.

La datazione di reperti storici di età non geologica viene fatta tramite il metodo del carbonio 14 che è associato a tempi di decadimento radioattivo di alcune migliaia di anni.

L'età del Sistema solare e la durata del processo di formazione

Le misure fatte con questi elementi su campioni di meteoriti mostrano che l'età del Sistema solare è approssimativamente 4,55 miliardi di anni.

Inoltre, le misure delle abbondanze del 244Pu (Plutonio) e dello 129I (Iodio), che hanno dei tempi di decadimento più corti, danno un'indicazione del tempo di condensazione del materiale planetario. Esse indicano che non sono stati necessari più di 100 milioni di anni per la formazione dei pianeti dopo che il materiale originario si è isolato da quello interstellare.

La formazione del protosole

La discussione relativa alla formazione planetaria non può prescindere da quella della formazione stellare, ed in particolare solare. (Fig. 3)

formazione planetartia
Figura 3.

Le stelle si formano dal mezzo interstellare costituito da polveri e gas. Se nelle nubi interstellari, per un qualche meccanismo fisico, si determina un accumulo locale di gas o polveri, ecco che si può produrre un'instabilità dal cui collasso gravitazionale si origina una stella.

In realtà i dettagli di questo processo sono ancora in parte sconosciuti e tutto il meccanismo di formazione stellare è ben lungi dall'essere compreso. Seppur in modo grossolano, si può affermare che il collasso gravitazionale avviene quando, nella nube protostellare, l'energia potenziale gravitazionale eccede il doppio dell'energia cinetica. È possibile calcolare questo valore critico della densità delle concentrazioni locali di gas e polveri tramite il teorema del viriale, che rende irreversibile l'innesco della contrazione gravitazionale.

Diversi sono i meccanismi che possono instaurare la fluttuazione di densità da cui parte il collasso gravitazionale. Tra questi ne ricordiamo due:

1 - l'esplosione di una supernova, la cui onda d'urto comprime il mezzo interstellare sino a renderlo instabile gravitazionalmente;

2 - il passaggio di una nebulosa attraverso uno dei bracci a spirale della Via Lattea.

L'analisi degli elementi e dei rapporti isotopici nei meteoriti è utilizzabile come metodo per determinare la durata ed il tipo del processo di formazione e quindi fornirci un'indicazione su quale, di questi due meccanismi, è quello più probabile.

Si è riscontrato che, nei meteoriti, un certo numero di elementi quali l'ossigeno, il magnesio, ed il neon hanno abbondanze anomale che suggeriscono la presenza, nella "nebulosa molecolare primitiva", di "grani presolari" dovuti a materiale espulso da supernovae, novae o da stelle di tipo Wolf-Rayet. In particolare l'eccesso di 26Mg si può spiegare solo con la presenza di 26Al nei grani presolari direttamente espulsi non solo da una esplosione stellare ma anche da forte attività stellare, poiché il decadimento radioattivo ad essi associato (26Al che si trasforma in 26Mg) è molto breve: solo 700.000 anni! L'ipotesi della formazione del nostro sistema planetario in seguito al passaggio della nebula primordiale attraverso la Via Lattea, trova ulteriore conferma nelle misure delle abbondanze del 244Pu (Plutonio), e dello 129I (Iodio)

Il meccanismo dell'esplosione di una supernova, per quanto accettabile, quindi non è strettamente necessario. È ragionevole ipotizzare che il Sole ed i pianeti si siano formati contemporaneamente, durante il passaggio in una parte della Galassia sicuramente più densa e piena di polveri.

La nube protoplanetaria

La nube protoplanetaria era costituita da gas di idrogeno ed elio e da grani di polvere contenenti carbonio solido, silicati, metalli e materiale volatile come acqua, anidride carbonica, metano ed ammoniaca. L'instabilità gravitazionale può avere avuto luogo a partire da questi piccoli frammenti, di circa un centesimo di massa solare, formatisi in seguito all'attività di stelle di poche masse solari!

Una volta innescato il meccanismo di formazione, all'interno della nube molecolare si forma una nebula in contrazione e la rotazione della nube produce il confinamento del materiale gassoso formando un disco nebulare, mentre all'interno di questo disco, si produce ulteriore accumulo di materiale. (Fig. 4)

formazione
Figura 4.

Le reazioni termonucleari nel protosole; il ciclo protone-protone

Quando la temperatura, nella nebulosa centrale, arriva a diversi milioni di gradi si innescano nel suo interno le reazioni termonucleari e si forma il protosole.

Nella figura 5 descriviamo il principale meccanismo di produzione dell'energia legato alle reazioni termonucleari: quello della catena protone-protone.

ciclo Figura 5.

La fusione nucleare è il processo attraverso il quale si producono nuclei di elementi più pesanti a partire dalla fusione di nuclei di elementi più leggeri. Nei processi di fusione nucleare la massa del nuovo nucleo formato non è pari alla somma di quella dei nuclei atomici che hanno partecipato alla fusione, ma leggermente inferiore. È per tale difetto di massa che, in base alla legge di Einstein E = m c2, si sviluppa energia E a processo avvenuto. Nella formula m è il difetto di massa e c è la velocità della luce nel vuoto pari a 300.000 km/s.

Nell'interno del Sole avviene,anche oggi, la fusione di quattro nuclei di idrogeno (protoni) in un nucleo di elio, secondo lo schema della figura 5. Il nucleo di elio ha un difetto di massa m di 0,007 rispetto alla somma delle masse dei quattro nuclei di idrogeno. Su questa base è facile calcolare, dalla legge di Einstein, che, se solo un decimo della massa di idrogeno contenuta nel Sole partecipa alle reazioni termonucleari per formare elio, si sviluppa un'energia di 9,2·1043 joule, la quale, consumata al tasso di 3,86·1026 J/s (che rappresenta la luminosità solare), risulta sufficiente per circa 7,5 miliardi di anni, ben oltre l'età della Terra.

La misura del rapporto deuterio/idrogeno nei pianeti giganti

Uno dei più interessanti problemi connessi con l'innesco delle reazioni termonucleari del ciclo protone-protone nel protosole riguarda la combustione del deuterio. Quest'ultimo è presente nel mezzo interstellare, ma viene distrutto nelle stelle in seguito alle reazioni termonucleari. Il tempo in cui avviene la reazione che trasforma il deuterio è molto più breve (circa 1 minuto) delle altre reazioni (con tempi di 1 milione di anni).

Ci si chiede, allora, che fine ha fatto il deuterio presente nella nebula protosolare, anche se è possibile osservare ancora oggi deuterio residuo di quello originario. Nei pianeti giganti, il valore del rapporto D/H è maggiore di quello prevalente nel mezzo interstellare per cui è lecito supporre che l'abbondanza di tale rapporto possa essere collegata a quella del mezzo interplanetario all'origine del Sistema solare, cioè 4,55 miliardi di anni fa.

Se il materiale planetario fosse un tributo del materiale solare, l'abbondanza di deuterio sarebbe uguale a zero, come nel Sole. Dal momento, però, che il deuterio venne distrutto dentro il Sole appena iniziarono le reazioni nucleari, ciò può indicare che i pianeti non si sono formati da materiale trasformatosi nell'interno del Sole in seguito alle reazioni termonucleari e che, quindi, la fase di formazione planetaria è successiva alla formazione del protosole.

Ne consegue che le teorie mareali vanno scartate poiché ammettono che il materiale da cui si sono formati i pianeti è di origine solare. Potrà essere quindi attendibile solo una versione migliorata della teoria nebulare in accordo con questi dati osservativi.

ciclo Figura 6.

Riassumiamo nella figura 6, le principali tappe del processo di condensazione, e rimandiamo all'articolo citato nell'introduzione per un'analisi dettagliata dei diversi punti qui elencati.

Il problema del momento angolare

Rimane da risolvere il problema del momento angolare, la vera pietra di paragone per la costruzione di un buon modello di formazione planetaria. Questo problema è ancora in parte aperto, anche se sono stati fatti dei passi avanti e, a tale scopo, sono state determinanti sia le teorie di evoluzione stellare sulle fasi iniziali di vita delle stelle, che la teoria dinamica del campo magnetico.

Una stella rotante, dotata di vento stellare e di un forte campo magnetico iniziale, tende a diminuire la sua rotazione per un effetto di "frenamento" dovuto al flusso delle particelle del vento lungo le linee di forza del campo magnetico. Questo può determinare un trasporto delle particelle ad una distanza a maggiore del raggio R della stella.

Anche una piccola perdita di massa può produrre una grande perdita di momento angolare in quanto proporzionale ad (a/R)2. In questo modo, se la perdita di massa è solo 0,003 masse solari per anno, questo meccanismo è sufficiente per rallentare la forte rotazione iniziale del Sole. Quest'ipotesi è confermata dal fatto che nelle stelle giovani, del tipo T-Tauri, si misura una forte perdita di massa associata ad un'intensa attività magnetica e quindi un forte decremento del periodo di rotazione. Il Sole altro non è se non un esempio dell'evoluzione di questi tipi di stelle giovani!



Conclusioni